Una storia di musica, di politica e di amicizia, dove genio, sogni e malvagità convivono, si scontrano e producono imprevedibili destini. A Görlitz, terra di Prussia, severa e seducente, si presenta inaspettata “la seconda occasione” e, a 34 anni e 2.673 chilometri di distanza da Montemilvio, le ferite della vita sembrano rimarginarsi. Dall’Azione Cattolica a Craxi, dalla Stasi alla Camorra, il romanzo racconta la vita di due ragazzi per niente normali, col sottofondo di Battisti, Bach e Napoli Centrale.
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Anna
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Celestino Ciocca
Marx Grass
Valutato 5.00 su 5 su base di 4 recensioni
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«Marx Grass e ogni vicenda a lui collegata erano diventati una sorta di tabù».
COD:
978-88-9341-527-9
Categoria: Narrativa
Descrizione
Informazioni aggiuntive
Dimensioni | 14 × 21 cm |
---|---|
Autore | Celestino Ciocca |
Copertina |
Flessibile con alette |
Formato |
Cartaceo |
Numero di pagine |
260 |
Recensioni (4)
4 recensioni per Marx Grass
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About Celestino Ciocca
Celestino Ciocca, esperto di Italian Food e marketing strategico, è ai più noto come l’inventore di EATALY. Ha collaborato con le più belle aziende del settore e con città come Parma e Roma per importanti progetti di city branding strategico. Già autore di vari testi di management, questo è il suo primo romanzo e il gusto per l’innovazione, che ha sempre governato la sua attività professionale, può finalmente diventare incondizionata creatività.
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Anna –
Divertente!!!! Si legge tutto d’un fiato!
fg –
Originale, sorprendente! La descrizione dei luoghi mi ha commosso.
guido abernati –
Un caleidoscopio di personaggi autentici e magnificamente dipinti popolano una storia ricca di temi. Un romanzo ricco, articolato, che si legge facilmente e con grande piacere grazie ad uno stle narrativo sobrio, lieve, elegante. Una vera sorpresa, … che potrebbe preludere a grandi e bellissime. sorprese!
Franco Avicolli –
Tra tempo e spazio: la provincia nell’immaginario di Celestino Ciocca.
La provincia comincia alla fine della città. Può essere soltanto un’idea, di fatto non è dato sapere dove finisce la città quando la si guarda dalla provincia. Uno dei suoi paradossi è che mentre vive in una qualche rassicurante staticità, essa sogna di diventare città alimentando il movimento in uscita che la caratterizza come terra d’esodo.
Perciò, in provincia può accadere che le cose e le persone mostrino il loro senso quando si è costretti a privarsene. È quello che accade a Emilio e Peppino che sentono dolore nel momento in cui si stanno allontanando. L’evento è incontrollabile, forse addirittura consustanziale alla provincia dove “Peppino si rivolgeva a sua madre chiamandola signora, e lui la mamma di Peppino l’aveva sempre chiamata Angelina.” E se ciò non fosse sufficiente “all’improvviso si rese conto anche che suo padre tutti lo chiamavano “signor preside”, mentre per lui Augusto era sempre stato solo Augusto”.
Certo, questo accade anche in città, ma nella provincia è per sempre, se sei figlio della lavandaia, sarai per “sempre il figlio della lavandaia”. Perché la provincia non è un territorio definibile con misure di superficie: è luogo dove il nuovo è rottura, dove non tanto è impossibile modificare l’esistente, ma semplicemente pensare di farlo, lo vieta il conformismo, dimensione della sicurezza, quale che sia, troppo identificato con il buon senso e le buone maniere.
Celestino Ciocca si introduce in questo territorio che sfugge ad una qualche definizione precisa, definitiva e forse potrebbe far parte di un vissuto pesante tutt’altro che paradiso perduto e piuttosto ferita che sanguina in continuazione, percezione di un limite di cui si può soltanto essere osservatori o narratori.
Emilio e Peppino sono amici nel senso che si vivono credendo l’uno nell’altro, cercano di fare insieme ogni cosa o, comunque, ciò che essi amano convinti che la loro vita si svilupperà in un percorso dove il loro rapporto è una condizione stessa della crescita. La loro “provincia” è Montemilvio, un luogo qualsiasi del lungo interno appenninico italiano e fanno parte di un gruppo dove c’è Roberto che aspira a diventare calciatore, Franca, sorella di Peppino, piccolo genio musicale, ambedue figli di Augusto Pane, muratore e comunista orgoglioso, contraltare del prete don Luigi, zio di Emilio, orfano di padre. Ci sono, infine, il maestro Fragola con sua figlia Sara, altri giovani, circoli e personaggi in vista e con le loro ambizioni. Ciocca disegna l’ambiente con la freschezza dell’autentico, fornisce il profilo dei personaggi con i tempi e una prosa congrua alla loro identità. In questa prima parte, il romanzo gode di un ritmo che procede con la leggerezza delle storie paesane, quelle che trovano una ragione in se stesse e non corrono verso un qualche punto stravagante e anche stravolgente. I quattro ragazzi affrontano la quotidianità con giovanile fiducia e con la libertà che esce dai loro propositi puliti. Ed è proprio la loro limpidezza a scontrarsi con il male che è malvagità, volontà che si muove nel piccolo, perché in provincia anche il male finisce per affogare nelle ristrettezze del limite.
A Montemilvio il male si chiama Aronne, un nome non proprio indeterminato, ma comunque per nulla collegabile alla comunità ebraica: tanto è subdolo e malvagio il suo operare, quanto luminoso e salvifico è l’operare del padre Isacco Malhan. Aronne è protagonista di un episodio narrato con maestria che cresce appunto con il ricorso adeguato ad una narrazione dai tempi cadenzati dove la sorpresa è una conclusione inevitabile e nello stesso tempo inattesa, un punto dove le strade si biforcano e i colori acquisiscono il loro tono definitivo. Aronne è il personaggio cui Celestino Ciocca si ispira per dare il titolo al romanzo, Marx Grass, che suona tra il serio e il faceto, forse troppo ridicolo per essere serio, ma maturo per essere amaramente tragico.
Perché la malvagità non è semplicemente quella cosa lì che fa male, ma un movimento della vita che da questa si alimenta e dall’humus collettivo dove le libertà individuali vengono imprigionate dalle abitudini, dal conformismo, a volte dalla lealtà a un ideale, come nel caso di Augusto Pane che non riesce a collocarsi in un mondo più grande del paese dove può essere un buon viatico, ma è sterile per chi vorrebbe dare alla vita un altro colore, come desidera Peppino.
In tale contesto, l’Autore non si sofferma a considerare il male come impedimento, ma come reagente per attivare una dinamica che suggerisce di “piantare la vita in una terra lontana. Affinché nella terra nuova la vita ritrovi le sue radici autentiche.”
Ed è una prospettiva che si popola di altri personaggi, come la fredda e attraente Eva, il potente Von Bauzen, la conturbante Hilde Wasserman e il misterioso Josef Ausweizen; si amplia con territori dove si parlano altre lingue e aprono altre porte a quanto negato in terra natia di provincia anche se non è proprio chiaro il prezzo da pagare. In tale contesto Emilio e Peppino si ritrovano adulti, una semplice e corposa condizione della vita dove l’accaduto non è fatto di ricordi, e neppure di nostalgie, ma di constatazione anche drammatica di un non vissuto doloroso.
Anche senza rivisitazioni temporali, Marx Grass non riesce ad ovviare del tutto a un’esistenza che aleggia nell’aria, a un’appartenenza che non può essere soltanto supposta, un concetto, una dimensione finta o almeno immaginata. Quale può essere il ruolo della spazialità nella definizione di una vita senza la sua stessa sollecitazione biologica? Come si può leggere il presente senza un codice del passato?
La questione delle radici autentiche non è una elementare categoria spaziale e forse non tutta la nuova vita è in un altro posto. Peppino è anche il talento che si salva dalla malvagità o dal conformismo della provincia? Ma la provincia è pur sempre il luogo del sogno originario o dell’istinto a fare altro. Ma da che cosa bisogna veramente salvarsi? Dalla banalità o dalla miseria?
È vero, il protagonista è Emilio, ma Peppino è la forma e l’anima di questo bisogno urgente di cercare un posto nel mondo. Con lui adulto la storia sembra perdere l’ambiguità per diventare denuncia non troppo velata, in qualche modo imbroglio da cui districarsi. Un contesto nel quale entrano l’arte e la musica strumenti potenti della salvezza. È un tema che in Thomas Mann ha una sua dinamica tragica perché l’arte sostanzialmente allontana dalla vita, chi vive di arte soccombe all’inesorabilità della “malattia” che stringe l’uomo nella morsa del piccolo, del successo sociale ed economico. Celestino Ciocca ricorre alla musica in senso positivo di costruzione di un’altra dimensione nella sua valenza ludica, ma soprattutto rivelatrice di mondi, di possibilità e di crescita. Ed è in qualche modo il filo che riporta Peppino alle origini, al parroco di Montemilvio don Luigi e del padre Vittorio che suonava il clarinetto nel circo equestre di Buffalo Bill.
Ma questa è un’altra storia che forse Ciocca racconterà con un romanzo con il protagonista o più protagonisti che vivono le origini in un presente che guarda indietro, come l’angelo di Benjamin, e vola verso il futuro senza il pudico timore di non essere compreso a sufficienza.
Venezia, 1° ottobre 2022